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LA PROTESTA CONTINUA!!!

giovedì 18 dicembre 2008

I passi indietro della riforma Gelmini - Tito Boeri - Repubblica, 18 dicembre 2008

Articolo di Tito Boeri, Repubblica 18 dicembre 2008

Un passo indietro e due avanti. Al contrario di Lenin, il Ministro Gelmini nelle ultime due settimane ha preso atto dei limiti delle riforme imposte dall' alto, quelle che servono unicamente a fare cassa negli scenari della Ragioneria Generale dello Stato. Ha così modificato le sue proposte di riforma offrendo maggiori possibilità di scelta alle famiglie e superando la logica dei tagli indifferenziati. Ernesto Galli Della Loggia ritiene che sia stato un passo indietro perché, a suo giudizio, le "riforme facoltative" sono delle non-riforme. Ma le riforme che garantiscono una certa libertà di scelta sono le uniche riforme possibili in una società sempre più eterogenea come la nostra. Le regole rigide imposte dall' alto servono solo a dare fiato ai difensori dello status quo e a creare delle eccezioni. Ed è meglio avere regole flessibili applicate a tutti che regole rigide violate dai più. Non è tuttavia facile ottenere comportamenti virtuosi - quelli che ci fanno risparmiare risorse migliorando la qualità dei servizi offerti ai cittadini - nell' ambito di regole flessibili. Per farlo è necessario allineare gli incentivi di chi decide a livello decentrato (famiglie, dirigenti scolastici e organi di autogoverno dell' università) a quelli della maggioranza dei cittadini, senza imporli dall' altro. Maristella Gelmini ha solo mosso due primi significativi passi in questa direzione. Vediamo quali sono stati e quali altri passi sono necessari nelle prossime settimane per non tornare indietro. Il primo passo in avanti riguarda la "riforma della riforma" del primo ciclo (materne, elementari e medie inferiori). Permettendo alle famiglie di scegliere tra 24 ore (con maestro unico), 27 ore oppure 40 ore (il tempo pieno con due maestri), il Ministro ha finalmente voluto tenere conto del fatto che la domanda di istruzione è sempre più differenziata in Italia. Il massiccio flusso di immigrati ha reso meno omogenee le classi. I bambini con disabilità, una volta lasciati a casa, adesso vanno - giustamente - a scuola. La maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro nei centri urbani soprattutto al Nord ha fatto fiorire il tempo pieno, riducendo il coinvolgimento delle famiglie nel processo di apprendimento degli studenti. Imporre a tutti orari ridotti e maestro unico avrebbe creato disagi alle famiglie e frustrato l' operato degli stessi insegnanti. La libertà di scelta ora concessa non impedirà di conseguire risparmi, ma solo a condizione di definire bilanci per scuola e provincia. Così si potrà permettere ai singoli dirigenti scolastici e ai comuni che riducono i costi nella formazione delle classi e nell' accorpamento degli istituti di utilizzare parte di questi risparmi per interventi sull' edilizia scolastica e per potenziare il materiale didattico. Oggi le amministrazioni decentrate non hanno alcun incentivo a risparmiare perché non sono soldi loro. Nei prossimi 5 anni andrà in pensione un quinto dei docenti: questo ricambio naturale può essere utilizzato per ottenere riduzioni di costi del personale e miglioramenti nella qualità dell' istruzione. Per questo gli incentivi a risparmiare vanno introdotti subito. Non c' è tempo da perdere. 
Il secondo passo in avanti riguarda l' università. L' ultima versione del decreto Gelmini e le linee guida sull' università appena pubblicate dal Ministero hanno abbandonato la logica dei tagli uniformi. Prevedono ora che fino a un terzo dei fondi del finanziamento ordinario dell' università vengano assegnati sulla base "della qualità dell' offerta formativa, dei risultati dei processi formativi e della qualità della ricerca scientifica". È un principio giusto perché impegna le diverse sedi a utilizzare l' autonomia che già oggi viene loro concessa per migliorare l' offerta formativa e la ricerca. Se applicato fino in fondo, questo principio può rivoluzionare l' università italiana. Come documentato su www. lavoce. info, oggi il 40 per cento dei docenti ordinari di economia in Italia non ha più di due pubblicazioni con almeno due citazioni su Google Scholar, una banca dati che comprende anche molte riviste non di lingua inglese, working papers e atti di convegni. Secondo Maria Cristina Marcuzzo e Giulia Zacchia (Rivista Italiana degli Economisti, agosto 2007) il 35 per cento dei ricercatori non ha alcuna pubblicazione su Econlit, una banca dati dedicata alla ricerca economica. Entro il 31 marzo il Ministro dovrà varare i decreti attuativi stabilendo come misurerà la ricerca degli atenei e come ripartirà questa quota crescente di finanziamenti alle università. È opportuno che i criteri di valutazione e gli specifici indicatori siano definiti a livello internazionale, quindi non siano manipolabili da chi deve poi essere valutato. Ovviamente oggi chi difende lo status quo nell' università si oppone a qualsiasi criterio di valutazione definito a priori, sostenendo, come in una popolare canzone degli anni ' 60 che "nessuno li può giudicare". È anche fondamentale che il premio agli atenei che svolgono ricerca non sia marginale, ad esempio che solo gli atenei che superano una certa soglia accedano a questa quota dei finanziamenti. Il Ministro ha dato in questi mesi ripetute prove di coraggio, anche se spesso per cause sbagliate. Ha oggi l' opportunità di dare un contributo importante alla riforma dell' università italiana. Se vuole dare un primo importante segnale di discontinuità rispetto ai suoi predecessori, quelli che hanno tutti gioiosamente concorso ad affossare l' università italiana, proceda subito ad aggiornare l' unica seria valutazione della qualità della ricerca accademica svolta sin qui in Italia (si veda www. civr. it). Tornerà utile nel distribuire i fondi per la ricerca.

giovedì 11 dicembre 2008

Appello della Sapienza in mobilitazione

L’Onda: Generalizziamo lo sciopero del 12 dicembre!


Alle lavoratrici e ai lavoratori, agli studenti medi, ai precari, ai migranti, ai movimenti di lotta per l'abitare e in difesa dei beni comuni, ai sindacati che promuovono lo sciopero.

L'appello che vi rivolgiamo parla di una sfida che non riguarda solo noi, ma riguarda tutte e tutti. Il 12 dicembre ci attende una giornata di grande importanza il cui esito potrà segnare gli equilibri politici e sociali di questo paese: lo sciopero generale in primo luogo indetto dalla Fiom e dalla Cgil funzione pubblica, poi dalla Cgil tutta, infine dai sindacati di base (Cobas, Sdl, Cub), sarà una grande occasione di conflitto per chi non vuole subire l'arroganza di questo governo e per chi non vuole pagare sulla propria pelle la crisi di sistema che investe l'economia globale. L'indizione di questo sciopero generale è anche il frutto, vale la pena ricordarlo, della grande potenza dell'Onda, del movimento che da inizio settembre ha visto milioni di persone, tra studenti, insegnanti, ricercatori, docenti, bambini, mobilitarsi contro la definitiva dismissione della scuola e dell'università pubbliche. È stata proprio l'Onda, infatti, ad imporre una discontinuità politica e sociale nel paese: laddove tutto sembrava sconfitto con la tornata elettorale di aprile, una nuova generazione ha imposto dal basso una battuta d'arresto nella macchina di consenso del Governo. Attraverso lo slogan “Noi la crisi non la paghiamo” gli studenti hanno lanciato un segnale a tutti i soggetti sociali che nel mondo del lavoro e nelle esistenze concrete stanno subendo le ricadute di una dinamica recessiva di portata epocale. Il “Noi” dello slogan non è corporativo e non parla solo degli studenti: “Noi” sono tutti coloro che la crisi non l'hanno prodotta e che dunque non intendono pagarla. Che la paghino le imprese e le banche, questo il sottotesto dello slogan! Non siamo disposti a pagare questa crisi né possiamo accettare le scarne proposte del Governo, contenute nel pacchetto anti-crisi.

La potenza dell'Onda è stata capace, dunque, di parlare alla società tutta e di trasformare tanto lo sciopero generale dei sindacati di base del 17 ottobre, quanto lo sciopero generale della scuola del 30 ottobre, in qualcosa di straordinario e di diverso dalle cose di sempre. Proprio l'autonomia del movimento studentesco ha reso possibile un'estensione senza pari delle mobilitazioni e una grande radicalità nei contenuti e nelle pratiche di lotta. Il 14 novembre, poi, rimarrà senz'altro nella memoria di tutti, come una delle più grandi manifestazioni di piazza auto-organizzata dagli studenti universitari e medi: più di 300.000 persone, infatti, hanno assediato Montecitorio e Palazzo Chigi, mettendo in scena materialmente l'isolamento sociale oltre che politico del Governo e della maggioranza.

A partire da queste considerazioni vorremmo dire alcune cose importanti in merito alla giornata del 12, giornata in cui pensiamo che lo sciopero generale debba quanto più possibile essere generalizzato dall'Onda e non solo. La premessa è che sarebbe stato auspicabile un corteo unitario di tutte le forze sindacali, ma conosciamo bene le differenze anche radicali delle piattaforme e non riteniamo che queste differenze possano essere ridotte a questioni di poco conto.

Per stringere davvero ed in maniera efficace una forte alleanza sociale non possiamo accontentarci semplicemente di scendere in piazza nella stessa giornata. Dobbiamo trovare una convergenza su alcuni contenuti che oggi appaiono decisivi e sui quali vogliamo assolutamente vincere, mantenendo sempre le proprie specificità, differenze e le proprie piattaforme di lotta, ma estraendo da queste delle rivendicazioni comuni a partire da quattro temi fondamentali: Scuola, Università, Precarietà e difesa dei territori e dei beni comuni. Per quanto riguarda noi, ci teniamo a mettere in chiaro gli elementi rivendicativi che più ci hanno caratterizzato e che in particolare ci caratterizzano in vista del 12. In primo luogo il rifiuto netto della legge 133, della legge 169 e del Dl 180 in via di approvazione, Dl che non cambia di nulla l'esigenza e la necessità di lottare contro il Governo e in particolare contro la Ministra Gelmini e di ribadire il nostro sforzo nel senso dell'autoriforma dell'università. In secondo luogo è per noi fondamentale ribadire la nostra ostilità nei confronti delle leggi bipartisan che hanno consentito in questi anni il processo di precarizzazione del lavoro, dal pacchetto Treu, alla legge 30. A maggior ragione vale la pena ribadirlo laddove, a partire dal mese di gennaio, 400.000 precari non saranno riassunti. Precari e lavoratori per cui deve essere assolutamente garantito e tutelato il diritto di sciopero. In terzo luogo riteniamo decisivo estendere ed allargare la battaglia per un nuovo welfare che parli di reddito diretto e indiretto (casa, servizi, cultura, diritto alla studio) per studenti, disoccupati e precari, nonché di salario minimo intercategoriale per tutti i lavoratori e lavoratrici. Infine il rifiuto delle privatizzazioni della sapere e della ricerca, e della devastazione ambientale e dei territori, al fine di difendere la totalità dei beni comuni. Vogliamo più finanziamenti all'università e scuola, che allo stato attuale sono indirizzati alla costruzione delle grandi opere pubbliche e alle spese militari. Su questi punti vorremmo, in questi giorni che ci separano dal 12, avviare una discussione proficua e non pregiudiziale.

Per quanto riguarda il 12, invece, pensiamo che sia naturale per l'Onda mantenere lo stesso stile assunto durante i precedenti scioperi generali: un corteo autonomo che sappia però interloquire con tutti i lavoratori e attraversare, materialmente e non solo simbolicamente, le manifestazioni sindacali. Questo non toglie che è nostro interesse parlare con quei tanti lavoratori che pur essendo iscritti alla Cgil vedono nell'Onda e nella sue rivendicazioni un'opportunità di cambiamento radicale valido per tutti. Oltre a parlare con i lavoratori è nostro interesse, però, attraversare la città e paralizzarne il traffico, così come abbiamo fatto in questi mesi, generalizzando tanto lo sciopero del 17, quanto quello del 30 ottobre. Invitiamo inoltre, tutti i movimenti cittadini e regionali, dai movimenti per l'abitare a quelli a difesa dei beni comuni, le reti migranti, i lavoratori precari, le esperienze dell'autogestione, tutti coloro che guardano con favore alla novità dell'Onda e che non sempre sono rappresentati dalle compagini sindacali, a convergere in piazzale Aldo Moro e muoversi in corteo con noi.

Con la convinzione che l'Onda diventerà ancora una mareggiata.

Generalizziamo lo sciopero del 12 dicembre!

Sapienza in mobilitazione

mercoledì 10 dicembre 2008

"E dell'Onda è rimasta solo la schiuma"

Questo articolo pubblicato ieri dal Giornale è la conferma che il movimento studentesco non è annegato ma bagna ancora le città italiane.
E' soprattutto la conferma di un modo di pensare che appartiene alle generazioni anziane che governano il Paese e dal quale gli studenti cercano di allontanarsi. 
15 anni di bambini cresciuti dalla televisione commerciale hanno modificato il modo di vedere la realtà: SE NON SEI NELLA SCATOLA MAGICA NON ESISTI.

L'Onda esiste ancora. La presa di coscienza degli studenti non ha una data di scadenza.
I giovani e i precari che hanno manifestato nei mesi di settembre, ottobre e novembre nelle piazze di tutta Italia non sono tornati nel loro guscio.

In tutta Italia gli studenti continuano a riunirsi e ad informare. E' un processo è lento e denso di cambiamenti; non ha la durata di uno spot televisivo né della lettura di un articolo di giornale.

Il giornalista Stefano Zecchi considera le contestazioni tenutesi nei giorni scorsi come dei modi per ottenere solo "visibilità".

La visibilità noi studenti l'abbiamo già avuta e non è stata mai la spinta principale delle proteste. 
Per settimane siamo stati nelle piazze a dimostrare il nostro dissenso verso i tagli indiscriminati del Governo. La voglia di studiare ce l'abbiamo e definirci dei "fannulloni" è un atteggiamento davvero mediocre.

Stefano Zecchi sostiene che "la maggioranza degli studenti è sempre rimasta nelle aule a seguire le lezioni". Ci sorge il dubbio se il giornalista abbia visitato, anche per sbaglio, qualche università nei giorni delle proteste.

A Roma gli studenti si sono riuniti per la scrittura di proposte concrete. Il ministro Gelmini aveva detto di essere disponibile a "dialogare".
Il ministro e la maggior parte dei politici italiani falsano quotidianamente questa parola, credono che "dialogare" significhi solo un compromesso unilaterale
Non è assolutamente così e i decreti approvati ne sono la prova.

PETIZIONE « Non pagheremo noi la vostra crisi ». Per un movimento europeo


Questa petizione è partita da un'iniziativa di alcuni studenti e giovani ricercatori francesi e a cui vogliamo dare una dimensione europea.
Vorremmo in un primo tempo raccogliere le firme d'intellettuali e universitari europei riconosciuto a livello internazionale, poi renderla pubblica cercando di pubblicarla su giornali italiani e francesi per fare appello a tutti i cittadini che si sentono coinvolti a firmarla on line su
Internet.

Siamo studenti, dottorandi e ricercatori e vogliamo affermare la nostra solidarietà con i movimenti sociali dell'istruzione che lottano attualmente contre la privatizzazione dei servizi pubblici, dell'istruzione e della ricerca in Europa. Convinti che questa crisi dell'università non è che uno degli effetti delle politiche neoliberali legate a scelte politiche internazionali, decidiamo di riprendere lo slogan delle assemblee italiane : "Non pagheremo noi la vostra crisi !"

« Non pagheremo noi la vostra crisi » è lo slogan che da ormai più di un mese riecheggia in tutta Italia. L'onda di protesta dilaga e più di 300 000 manifestanti il 14 novembre hanno ripreso questo slogan che si rivolge, al di là delle frontiere a tutti i nostri dirigenti. Sono
migliaia di studenti, d'insegnanti e genitori che riflettono e agiscono collettivamente per un altro sistema educativo. Hanno lanciato l'appello per uno sciopero generale il 12 dicembre.

« Non pagheremo noi la vostra crisi ! » è il nostro grido di rivolta.

È il grido di coloro che in Italia, Francia, Germania, Spagna rifiutano la mercificazione dell'istruzione e rifiutano di vedere il loro futuro e quello dei loro figlio sacrificato dalla distruzione del servizio pubblico, sola ricchezza di chi non ha niente.

È il grido dei lavoratori, che rifiutano i licenziamenti di massa e le delocalizzazioni e che lottano ogni giorno per preservare i loro diritti minacciati dalla legge dei profitti. È il grido di rivolta di coloro che, con salari e protezioni sociali amputate, si sono indebitati e pagano quotidianamente, nella miseria e nella precarietà le scelte egoiste dei nostri dirigenti politici ed economici.

È il grido dei migranti, vittime del razzismo istituzionalizzato, che rifiutano di essere criminalizzati solo perché cercano, nelle nostre metropoli occidentali, una vita migliore.

È il grido di tutti coloro che rifiutano che i loro diritti siano sottomessi alla ragione del più forte capitalista.

« Non pagheremo noi la vostra crisi » è l'avvertimento di coloro che da dicembre 1995, dalle fabbriche occupate ai sobborghi, rivendicano l'uguaglianza e il rispetto in Francia, che dal 2003 si mobilitano in Germania contro la disoccupazione e l'esclusione... è l'avvertimento che
oggi in Italia, in Spagna, in Germania rimbomba nelle orecchie dei potenti.

« Non pagheremo noi la vostra crisi » è anche un altro modo di dire che non vogliamo più vivere in questa società che ci vuole sacrificare sull'altare dei profitti. È il nostro modo di porre la questione dell'uguaglianza reale dei diritti di tutti, uomini e donne, nazionali e immigrati, lavoratori e disoccupati, cittadini e contadini...

È infine il grido di futuro di tutta una generazione che si alza e decide di combattere a livello internazionale un sistema economico che fa oggi prova del suo fallimento. Questi uomini e queste donne non vogliono sottomettersi alle leggi del mercato, ma accettano la sfida della globalizzazione per apportare la loro risposta globale.

Sì, un altro mondo è possibile e noi l'inventeremo, perché è ormai una necessità !

Con questa petizione, lanciamo un appello alla solidarietà internazionale con gli studenti e lavoratori italiani in lotta contro il decreto Gelmini e la legge 133.

Un appello alla solidarietà europea e mondiale contro la distruzione dei servizi pubblici dell'istruzione, bersaglio simbolico delle politiche neoliberali que vogliono sostituire nelle nostre teste la logica dell'uguaglianza e della solidarietà con la logica del mercato. Affermiamo
anche noi ai dirigenti mondiali che siamo pronti a tutto per non pagare le conseguenze delle loro politiche irresponsabili e nefaste. Lanciamo un appello all'organizzazione della solidarietà internazionale preparandoci a manifestare la nostra solidarietà con il movimento italiano il prossimo 12 dicembre costruendo dei ponti al di là delle frontiere per costruire un vero e proprio movimento sociale europeo.

No, non pagheremo noi la vostra crisi !

Questa è un'iniziativa di studenti e ricercatori italiani e francesi attivi nel movimento (sindacalisti o membri delle assemblee autonome contro la legge 133), e vuole in un primo tempo affermare la solidarietà con gli attuali movimenti europei per organizzare poi sul lungo termine una collaborazione internazionale per la difesa dei servizi pubblici dell'istruzione cercando di organizzare un incontro internazionale nei prossimi mesi.

http://www.sud-etudiant.org/article

Studenti di nuovo in piazza - La Nazione, 9 dicembre 2008

Considerazioni di fase su cosa è avvenuto e avviene nel sistema dell’istruzione e all’Università.

Considerazioni di fase su cosa è avvenuto e avviene nel sistema dell’istruzione e all’Università.

di Lorenzo Porta

docente a contratto di “Maieutica reciproca e ricerca azione per la pace”

Università di Firenze

Già docente di Sociologia dell’educazione alla pace


A studenti e docenti: è da tempo che ho elaborato questo scritto sul quale ho chiesto pareri a persone che operano nel sistema dell’istruzione a diversi livelli e ad altri che si battono per la democrazia in diversi ambiti della società civile. Parte da un’analisi generale e poi svolge considerazioni sulla incresciosa situazione universitaria fiorentina, sul Corso di laurea Operazioni di pace con precisazioni sulla solidarietà a Giovanni Scotto.

Il servizio pubblico dell’istruzione


Oggi vediamo che la precarietà del lavoro è molto diffusa nel vasto settore terziario dei servizi a diversi livelli delle prestazioni da quelle dequalificate a quelle che richiedono più conoscenza. Una situazione che ci richiama, pur nelle mutate condizioni strutturali, al vasto settore agricolo degli anni '50 con le sue forme di sfruttamento pesanti ed umilianti.

Strano frutto di questa globalizzazione è la precarizzazione del lavoro, un fenomeno internazionale che coinvolge almeno un miliardo e mezzo di persone nel mondo di diverse provenienze: ucraini, russi, rumeni, per rimanere in Europa, cinesi, indiani, indonesiani in Asia, Brasiliani, peruviani, equatoregni in America latina. Essi vengono messi in competizione tra loro dalle imprese fautrici di questa deregolamentazione del lavoro, con il sostegno giuridico necessario degli stati nazionali, in uno scenario di delocalizzazione della produzione repentina, conforme alla logica della polverizzazione sociale dei subalterni e alla convenienza del costo della forza lavoro.

Se ci limitiamo all'Italia e agli studi più documentati sono tra i dieci e gli undici milioni le persone fisiche coinvolte in diversa misura nell'occupazione flessibile. In base ai dati Istat confrontati con i dati di rilevazione del Sistema europeo dei conti nazionali e regionali (Sec95) si stima che almeno il 25% del prodotto interno lordo nazionale sia realizzato attraverso lavoro irregolare. Il passaggio dei lavoratori da un'attività flessibile, che assume profili diversi a seconda delle decine di varietà di contratti atipici ( più di trenta) , ad un lavoro decisamente irregolare avviene con molta frequenza. ( vedi le analisi condotte sui dati Istat, Sec95, Isfol, Inail di Luciano Gallino in questi anni contenuti nel più recente testo, Il lavoro non è una merce. Contro la flessibilità, Laterza, 2007).

Anche il lavoro intellettuale è esposto ad una precarizzazione di lungo periodo nei diversi ambiti della produzione con un aumento della competitività tra singoli lavoratori che ottunde in loro quel processo collettivo di riconoscimento di una condizione comune, momento fondamentale per esprimere una forza cosciente di trasformazione. Tale condizione di precarietà competitiva è un dato strutturale anche nel campo dell’istruzione pubblica nei diversi gradi degli insegnamenti dalle elementari all’università.

Un’università, quella italiana che vede ben sette studenti italiani scegliere di iscriversi presso università straniere della UE ( 25), più Svizzera e USA, a fronte di un solo loro collega straniero che viene negli atenei italiani. La pratica della trasparenza e della democrazia nel reclutamento dei ricercatori e professori negli Atenei ha raggiunto livelli di allarme, al punto che si sono invocati codici etici per le Università, che però non riescono a limitare il sistema della cooptazione , fondato sulla corruzione. Un’università in cui la mobilità sociale ascendente per studenti con capitale culturale familiare medio basso è preclusa e la percentuale di abbandono dei corsi universitari è più che doppia nei soggetti con genitori privi di laurea rispetto a coloro che hanno un genitore laureato.(cfr. www.lavoce.it , argomento: Scuola e Università, Uguali perché mobili, gennaio 2007; La mobilità sociale resta al palo, ottobre 2006).

Oggi poi vediamo intensificarsi l’attacco alla scuola pubblica a partire dalla scuola primaria, su cui si abbatte più pesantemente la scure della cacciata dei maestri già di ruolo. Gli emendamenti dell’opposizione in commissione al decreto 137 della ministra, avvocatessa, Gelmini sono stati respinti quasi nella totalità. Il varo del decreto è avvenuto a colpi di fiducia alla Camera, a cui è seguita l’approvazione definitiva al Senato.

E’ in preparazione un attacco frontale, che secondo una simulazione di scenario elaborata da sindacato ( Elaborazione della FLC-CGIL) http://www.flcgil.it/notizie/news/2008/settembre/ , già dal prossimo anno, nei diversi gradi scolastici dovrebbero scomparire 43.000 docenti e 15.000 tecnici, amministrativi ed ausiliari per un totale stimato di 130.000 posti in tre anni. Scomparirebbero le supplenze annuali. Le ore di lezione saranno ridotte. Come documentare e far emergere il lavoro educativo svolto dagli insegnanti che in questi anni si sono battuti per una scuola viva e partecipata? Come fermare la dispersione scolastica, che in Italia è al 20%, 10 punti sopra gli obiettivi di Lisbona, con punte del 30% in alcune aree del mezzogiorno? Giovani gettati sul mercato del lavoro con una debole preparazione sono destinati allo sfruttamento. Chi si preoccupa della loro formazione? Ora il tiro al bocciato riuscirà meglio con il voto di condotta revolver.

Quando si parla di costi diventa sacrilego oggi ricordare che le potenti immissioni in ruolo degli insegnanti di religione cattolica sono anch’esse un costo, ma non assolvono al crescente bisogno di una crescita culturale laica nella conoscenza della dimensione religiosa, al di là della libera appartenenza confessionale. Anche lì ci sono insegnanti bravissimi/e, ma dipendono nelle nomine dalle curie vescovili.

Confessionalizzare lo spazio pubblico, privatizzare il servizio dell’istruzione è la prospettiva che abbiamo di fronte. Questa è una restrizione della sfera pubblica come luogo del confronto garantito dai diritti, dove la logica del mercato è tenuta sotto controllo e dove le idee e le fedi non sono il mercato delle idee, ma appartenenze a confronto. La Costituzione italiana è uno scoglio da superare o una carta ancora da realizzare in alcuni punti qualificanti? Il sistema d’istruzione in una società è la linfa della democrazia e della partecipazione attiva.

Un attacco così massiccio all’istruzione pubblica può essere combattuto con successo solo se i docenti sapranno valorizzare e mostrare le pratiche didattiche attuate con spirito laico , libero in modo interdisciplinare, come deve avvenire nell’ambito pubblico della formazione. Questi insegnanti, tra loro figurano numerosi precari, hanno cercato di coltivare a spese proprie il loro aggiornamento, battendosi contro le pastoie burocratiche, le limitate risorse del settore per migliorare l’offerta formativa in una prospettiva aperta e non corporativa.


Alcuni nodi da sciogliere nell’Università


Purtroppo negli atenei c’è chi ha sarchiato il terreno pubblico a fini privati, come uno squallido cortile di casa, praticando il nepotismo, facendo strame di regole e deprimendo la vera ricerca: costoro sono i migliori alleati di chi vuole smantellare l’istruzione pubblica.


Oggi l’Università di Firenze, come anche Siena e altri atenei presentano una situazione di bilancio tremenda. Per Firenze dovremmo essere ai 50 milioni di buco di bilancio ( ma forse di più).

Ci devono spiegare ancora quanto e come incidono le voci consulenze su questa voragine, ovvero le prestazioni professionali di docenti interni strutturati ( ordinari e associati) o amici dei docenti pagate dai bilanci dell’università. Ricordo che nel maggio scorso il rettore ha tentato di riversare sugli studenti alcuni carichi di questo buco di bilancio.

A fronte di ciò il Senato accademico dell’ateneo fiorentino, nell’esercizio dei suoi poteri di autonomia, ha deciso nel marzo di quest’anno di inserire nel nuovo Regolamento di Ateneo, all’articolo 18,l’abolizione del diritto di voto vincolante ai docenti a contratto (la componente precaria dei docenti) nei Consigli di corso di laurea, riducendolo a mero voto consultivo.

In questo modo ogni potere di decisione è ristretto a pochi docenti di ruolo. Essi hanno sempre più le mani libere sulle proposte di reclutamento di nuovi ricercatori per esempio ( Regolamento di Ateneo approvato nel febbraio di quest’anno), approfondendo ulteriormente la disastrosa pratica della cooptazione dei docenti e ricercatori fondata sulla corruzione.

Dov’erano i democratici e i nonviolenti?? In molti non hanno preso posizione su questa misura di restringimento pesante della dialettica democratica, messa in atto in base ad una presunta percentuale di assenze dei contrattisti ai Consigli, superiore percentualmente a quella dei docenti strutturati.

I docenti a contratto sono una considerevole parte dei docenti su cui si regge l’offerta formativa degli atenei ( aggiorno il dato: ora superano i 50.000 in Italia).


A) una parte di loro è composta da docenti ormai in pensione, che proseguono nell'insegnamento, ( tra questi gli ordinari e gli associati che hanno optato per il pre-pensionamento hanno un trattamento economico di tutto rispetto, 30.000 euro annui che si cumulano alla loro pensione).


B) un'altra parte si fregia di questo “titolo prestigioso”, ma non partecipa alla vita dell'università, poiché svolge le principali attività lavorative in altri ambiti.


C) Vi è una terza parte , che costituisce la vera componente precaria, che ha puntato moltissimo sulla carriera universitaria ed è sottoposta maggiormente al condizionamento dei docenti strutturati. Non può vivere di quel contratto annuale perché a Firenze, per esempio è stato ridotto nell’Aa 2007/2008 a retribuzioni da fame: 720 euro per 40 ore di lezione senza contare ricevimenti, tesi e quant'altro. Essi devono contare su partecipazioni a ricerche, assegni di ricerca, docenze nei masters e perfezionamenti che sono sostanzialmente basate sulla cooptazione da parte dei docenti strutturati.

Ancora peggio, quest’anno accademico il contributo è di circa 33 euro per CFU, cioè circa 99 euro per un corso di 20 ore di lezione comprese tutte le altre attività che ricordavo sopra.

E’ così che risparmia il consiglio di amministrazione dell’Università di Firenze per realizzare il Piano di rientro ordinario della voragine di bilancio, oltre che a vendere beni immobili!!


Il prezzo della democrazia oggi


Ho vissuto sulla mia pelle le brucianti ritorsioni e le misure di isolamento per aver chiesto trasparenza nei Consigli di corso di laurea di Operazione di Pace gestione e mediazione dei conflitti, a cui ho preso parte a Firenze, sui meccanismi che regolano le proposte di reclutamento. Ho documentato con precisione e messo agli atti le irregolarità verificatesi. Mi riferisco proprio all’iter della chiamata diretta senza concorso per il dottor Giovanni Scotto che fin dal 2006 aveva presentato irregolarità palesi nella redazione dei verbali firmati dalla presidente e dallo stesso Giovanni Scotto, di Consiglio di corso di laurea e nel passaggio al Consiglio di facoltà per l’approvazione.

Questo mio intervento sulla trasparenza delle procedure sostenuto peraltro dai Professori L’Abate Alberto e Tonino Drago è stato considerato un affronto all’autorità, “un esercizio della democrazia paritaria curioso”. ( Esiste forse una teorizzazione della democrazia con diritti formali disuguali) La frase penso possa significare: “come osa un docente a contratto chiedere trasparenza. E’ già tanto che sieda in Consiglio di Corso di Laurea, bisognerebbe tornare agli anni ‘50, quando gli assistenti, quasi tutti di classi elevate, non avevano alcun riconoscimento giuridico e faceva fede per loro l’affiliazione di classe”.

E infatti qualcosa del genere è accaduto: voto consultivo per loro, come già detto.


Nel giugno 2006 fui estromesso dall’insegnamento attraverso l’applicazione di una norma mai applicata in Facoltà: chi frequentava il dottorato non poteva avere insegnamenti. Mi fu tolto l’insegnamento di sociologia dell’educazione alla pace e mai più ridato e persino un laboratorio, mentre alcuni miei colleghi dottorandi svolgevano laboratori nel periodo di dottorato.

Terminai il Dottorato con il risultato di eccellente. Dopo un lungo percorso che passò attraverso una sorta di mediazione presieduto dal giurista Professor Carlo Fusaro con i docenti Alberto L’Abate, Tonino Drago e Giovanna Ceccatelli Guerrieri, volto ad appurare le irregolarità nel Corso di Laurea, venne bandito un laboratorio di Maieutica reciproca e ricerca –azione per la pace. Risposi al bando e mi fu assegnato. Ho svolto il mio lavoro ed ora il laboratorio è sparito. Il professor Fusaro diceva che la componente che lui chiamava Galtunghiana e dolciana meritava più spazio nel Corso di laurea. Personalmente non ho avuto una proposta di collaborazione al Master di mediazione dei conflitti o a qualsivoglia progetto di ricerca dopo anni di lavoro di ricerca sul campo all’Università, precisamente dal 1994.

In tanti si sono chiesti: ma come se la cava il professor Porta ora? In questi anni ho vinto trasparentemente due concorsi abilitanti ordinari nelle scuole superiori e ho abbinato

il lavoro all’Università con l’insegnamento, prima ancora lavoravo come educatore presso un centro di affido familiare.

Oggi Giovanni Scotto chiede solidarietà per riuscire ad essere assunto con chiamata diretta senza concorso in questo ateneo come professore associato.

Bene!

Ricordiamo altresì, perché la sua richiesta di chiarezza abbia uno sbocco, che ci sono numerosi docenti precari, a contratto che hanno alle spalle anni di assegni di ricerca, tre anni di dottorato e anni di attività didattiche che chiedono concorsi trasparenti ispirati a criteri di garanzia democratica!! In questa direzione vanno anche i pronunciamenti dei docenti a contratto e i documenti inoltrati al Rettore.


Mi chiedo oggi


Perché il laboratorio che ho condotto lo scorso anno non compare tra i possibili laboratori dell’anno 2008-2009 all’interno dell’offerta formativa SECI – Operatori di Pace?

Perché il Consiglio di Corso di laurea Operazioni di Pace si è espresso per l’abolizione dei bandi per i laboratori, cosa che non avviene nella stragrande maggioranza delle Facoltà, se non in tutte?

Quali i criteri che hanno ispirato una selezione tra i laboratori svoltisi lo scorso anno accademico??

Per ora ho ricevuto l’offerta di svolgere due lezioni nel laboratorio permanente dell’ottimo dottorando Alfredo Panerai. L’ho fatto con una buona partecipazione di persone presenti. Gratis come può accadere ad un neo laureato. Inoltre il Professor Antonino Drago mi ha offerto uno spazio nel suo corso per una lezione sui percorsi di ricerca-azione per la trasformazione sociale.

Al mio laboratorio ho avuto 17 iscritti, una buona partecipazione ( il tetto massimo è circa di 20) ed un livello di approfondimento apprezzabile. Ogni partecipante nei gruppi di riferimento ha svolto una relazione sui temi della ricerca –azione, del metodo dell’inchiesta ( qualitativa e quantitativa) per la trasformazione sociale e per la prevenzione di primo livello dei conflitti. Gli esempi su cui abbiamo lavorato provenivano dal mondo del lavoro, della scuola e da situazioni di conflitto più vasti ( macro).

PER CONCLUDERE:

E’ possibile dare corpo e voce ad obiettivi minimi, ma qualificanti,di democrazia elementare, di ristabilimento di regole trasparenti e condivise nell’università?

E’ percorribile la strada dell’approvazione di effettivi codici etici , che blocchino i finanziamenti regionali, statali, europei laddove vengono reiterate pratiche illecite e nepotiste e dove l’amministrazione risponda un po’ di più ai criteri della trasparenza e dove non si possa più dire che:

  1. su 7 studenti italiani che vanno studiare all’estero ( Ue 25 più Svizzera e USA) ce n’è uno solo che da quei paesi viene in Italia a studiare.

  2. Gli studenti che abbandonano gli studi sono per più di due terzi figli di persone con istruzione formale medio-bassa. Assenza quindi di mobilità sociale ascendente.


Dove e come è stato fatto un uso perverso dell’autonomia universitaria?

Quali possibili trasformazioni minime sono proponibili affinché i metodi di reclutamento degni di uno stato di diritto possano rispondere ai criteri della trasparenza e della giustizia?

Tutto ciò per garantire una serenità nel lavoro di ricerca, senza venir divorati da pratiche di cooptazione ricattatoria e umiliante che tolgono energie alle persone, altrimenti utilizzabili per lavori costruttivi?


Firenze, 5 dicembre 2008

Save Saviano!

Un manifesto per difendere lo scrittore! Attaccatelo in facoltà

Con l’uscita di GomorraRoberto Saviano ha messo consapevolmente la firma sulla sua condanna a morte, decretata dalla camorra. Da due anni è costretto a girare sotto scorta, scontando la pena di aver scritto la verità. Il20 ottobre scorso qualcuno ha iniziato a dire basta a questa situazione. Sei premi Nobel hanno firmato e lanciato un appello affinché Saviano sia salvato dalla camorra e le terre oppresse dalle organizzazioni criminali tornino sotto il controllo dello Stato. Decine di intellettuali e celebrità hanno aderito all’iniziativa, tranne lo stesso Saviano, che si è dichiarato ancora più determinato nella sua volontà di sparire dalla circolazione.
Nel frattempo a far sparire il suo volto ci hanno già pensato giornali e televisioni. Campus ha deciso di non farlo scomparire. Come? Senza coinvolgere le celebrità ma i lettori, le studentesse e gli studenti universitari. Per partecipare basta staccare la
 pagina 55 del numero di novembre di Campus (disponibile in edicola e distribuito in università) e fotografarla, avendo sullo sfondo una strada o una piazza della propria città, del proprio paese, o uno scorcio del vostro ateneo. Insomma, uno scatto del vostro angolo d’Italia. Il passo successivo sarà inviare l’immagine a  " style="margin-top: 0px; margin-right: 0px; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; padding-top: 0px; padding-right: 0px; padding-bottom: 0px; padding-left: 0px; border-top-width: 0px; border-right-width: 0px; border-bottom-width: 0px; border-left-width: 0px; border-style: initial; border-color: initial; font-style: normal; font-size: 100%; font-family: inherit; text-align: left; outline-style: none; outline-width: initial; outline-color: initial; text-decoration: none; font-weight: bold; ">redazione.campus@class.it . Nei prossimi numeri di Campus troverete le vostre foto, pubblicate all’interno della rivista. A tempo di record ci è arrivata la mail di Andrea Murgia, studente del Politecnico di Milano, facoltà di design, indirizzo design della comunicazione, primo studente a raccogliere con entusiasmo la nostra proposta. E di seguito ecco pubblicata la sua foto.

                
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L'iniziativa comincia a prendere piede: ci è giunto uno scatto eseguito all'
università degli studi di Bari, da Riccardo Monterisi. Eccolo:

               
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Anche da Campus.it è possibile partecipare all’iniziativa. Ecco la
 pagina 55, con il poster di Saviano, in formato pdf scaricabile: Safe Saviano.pdf
Fatevi coraggio, aspettiamo ognuno di voi.

Analisi dei dati OCSE 2008

Il rispetto delle leggi nel paese dei condoni - Salvatore Settis - Repubblica, 9 dicembre 2008

martedì 9 dicembre 2008

Informazione e crisi: relazione pericolosa

di Marco Niro - Megachip

Proviamo a mettere in relazione la crisi economico-finanziaria di questi mesi con l’informazione economica che leggiamo sui quotidiani e vediamo nei telegiornali. La relazione c’è ed è molto stretta, addirittura pericolosa. 


Guardiamo all’informazione sulla crisi. Quotidiani e telegiornali hanno fatto in modo che l’attenzione si concentrasse solo sulla necessità di salvare le banche. Prime pagine e titoli di testa passavano dalla soddisfazione mostrata in occasione degli interventi di salvataggio dei governi allo sconforto di fronte alle negative risposte che arrivavano dalle Borse. L’informazione ha trasformato la crisi in una grande partita di calcio: da una parte la paura, dall’altra la squadra di governanti chiamata ad esorcizzarla. 

La spettacolarizzazione dell’evento ha distolto fatalmente il pubblico dal cuore del problema, ovvero da ciò che ne sta alla radice e che ha portato al crollo dei vari colossi bancari. Alla radice del problema c’è precisamente la deregolamentazione del sistema finanziario introdotta dagli stessi governi liberisti che sono stati presentati come i salvatori della patria, e utilizzata a piene mani dall’avidità dei banchieri per preparare le trappole finanziarie che hanno mandato in tilt il sistema stesso. 

Nessuna testata che abbia messo in evidenza la contraddizione tra l’uso del denaro pubblico per salvare le banche da parte di chi fino a ieri lanciava fulmini e saette contro l’intervento dello Stato nell’economia. Nessuna testata che in Italia si sia chiesta da dove uscivano i soldi per salvare le banche, visto che fino al giorno prima i tagli alle spese sociali venivano giustificati proprio dall’assenza di risorse finanziarie. 

Alla fine, il pubblico non ci ha capito niente: diventato tifoso della squadra di esorcisti, ha tirato un bel sospiro di sollievo quando il crac è stato scongiurato. 

Quello della crisi di questi mesi è stato un tipico esempio di ciò che diventa l’informazione economica quando accade qualcosa di straordinario: una sorta di grande spettacolo. Il precedente maggior esempio s’era avuto col crac Parmalat. I crac vengono trasformati in veri e propri show, annegati in un mare di inchiostro e di immagini, senza che alla fine il pubblico riesca mai a capire che essi non arrivano per caso e improvvisamente, ma per l’irrazionalità e l’assurdità di fondo di un sistema votato alla crescita infinita. 

Nei periodi ordinari, invece, l’informazione economica cambia totalmente aspetto, diventa quasi dimessa, torna in letargo, rinchiusa dentro recinti pieni di tecnicismi che la gente non capisce. Guardate le pagine economiche dei quotidiani: non sono altro che un susseguirsi di cronache di operazioni di fusione, scissione, investimenti, scalate, consigli di amministrazione, dati di bilancio, indici di Borsa. Tutto sembra fatto apposta per rendere il funzionamento dell’economia incomprensibile alla maggior parte del pubblico, a tutti coloro che non siano addetti ai lavori. E questo è gravissimo se si pensa che la nostra società si caratterizza proprio per il fatto che l’economia è la categoria centrale cui tutto ruota attorno. 

Per corollario, accade che tutte le voci dissonanti, che criticano alla base il sistema economicista attuale, votato alla crescita infinita, chiedendo il passaggio ad un’economia sostenibile, ad un’economia che torni a servire la società e non viceversa, ad un’economia della decrescita, accade che tutte queste voci finiscano fuori dai circuiti informativi dominanti, e che, se per caso vi entrino, si perdano poi nel mare di fatti rilevanti e inezie che è diventata l’informazione di quotidiani e telegiornali. 

Per avere un’informazione economica diversa, serve un giornalismo diverso. L’informazione economica appena descritta è tale in quanto sono le stesse redazioni di quotidiani e telegiornali ad abbracciare i dogmi dell’economicismo, della crescita infinita. Imprese che perseguono esse stesse la corsa verso il sempre di più, in cui l’imperativo commerciale finisce col sopraffare l’imperativo del buon giornalismo. 

Servono invece redazioni in cui l’imperativo del buon giornalismo resti prevalente su qualsiasi imperativo commerciale. Redazioni i cui giornalisti condividano valori diversi da quelli dominanti, siano consapevoli dell’irrazionalità e dell’assurdità di un’economia votata alla crescita infinita in un mondo finito. 

Concludo osservando che la qualità dell’informazione economica dipende anche dalla qualità del suo pubblico. Il pubblico di oggi per lo più è abituato a un’informazione che non lo costringa a ragionare troppo, che abbia una certa dose di superficialità e di spettacolarità. Le testate che vogliano fare buona informazione sull’economia e sul resto hanno bisogno invece di un pubblico differente, che voglia vedere l’economia, e più in generale la realtà, da un punto di vista diverso.  

Il silenzio sulla Gelmini. Alcune domande.

di Marco Grollo* - Megachip

Una strana pace mediatica sembra calata da alcune settimane sulla questione scolastica. Non se ne parla più. Non ci sono più studenti in piazza. Le proteste si sono assopite. Nei media, ovviamente. Che non rappresentano più ciò che sta avvenendo in molte scuole e università italiane. Può bastare ovviamente a dare la (falsa) impressione che tutto stia tornando alla normalità.


Non è così. Intanto non sono solo gli studenti a muoversi. I più preoccupati sono i genitori che hanno i figli di 5 anni, e che tra qualche settimana (gennaio 2009) dovranno iscrivere i loro bambini alla scuola Primaria. Quanto durerà la scuola? Cinque ore? Otto ore? Quanti insegnanti ci saranno in classe? Uno, due o tre? Non è dato saperlo. La legge infatti non lo dice, e per questo non lo sa nessuno. Non lo sanno i dirigenti scolastici, gli assessori, gli insegnanti in servizio, non lo sanno i genitori e non lo sa neanche il ministro. Dice infatti il decreto legge 137 del 01 Settembre 2008, all’articolo 4 sul maestro unico che è “previsto che le istituzioni scolastiche della scuola primaria costituiscono classi affidate ad un unico insegnante e funzionanti con orario di ventiquattro ore settimanali.” E qui sembra tutto chiaro. Si aggiunge però subito di seguito: “Nei regolamenti si tiene comunque conto delle esigenze, correlate alla domanda delle famiglie, di una più ampia articolazione del tempo-scuola”. Dunque? Occorre attendere i regolamenti attuativi, che potrebbero prevedere una più ampia flessibilità. Tradotto in concreto, le domande sopra poste non hanno per ora risposta certa.
E’ invece certo che saranno soprattutto gli Enti Locali (Comuni e Regioni) a dover farsi carico degli eventuali problemi che sorgeranno nel caso in cui la scuola primaria non potesse avere il tempo pieno. Istituendo servizi per le famiglie, dove sarà possibile. Alcune regioni (il Friuli Venezia Giulia ad esempio) hanno già emanato bandi che riguardano la conciliazione tempo lavorativo e tempo familiare, in cui si finanziano progetti per sostenere attività del tempo extrascolastico. Un caso?
Pare che uno degli effetti, sicuramente non voluti, dell’aver sollevato la questione scolastica sia un incredibile numero di incontri e dibattiti pubblici sulla scuola con ampia partecipazione dei cittadini. Ne sono stati organizzato in moltissimi comuni in tutta Italia, su richiesta degli studenti, ma anche su richiesta dei genitori, che si chiedono se potranno, ad esempio, mantenere gli stessi orari lavorativi (non è proprio una domanda secondaria, per chi ha figli da mantenere). Purtroppo molte di queste domande, ora non possono avere una risposta.
Inoltre è sempre più chiaro che la parola riforma risulta difficile da accostare a questa legge. Una riforma è anzitutto un pensiero, un disegno complessivo e spesso complesso, che ha diversi obiettivi anzitutto educativi, sociali, culturali. E che mette al centro l’alunno. Lo studente che è la ragione prima di ogni riforma. Che per essere tale deve prevedere investimenti per raggiungere gli obiettivi che si da (anche tagliando dove serve, ma per mettere dove si vuole andare). Siamo su piani un po’ diversi.
Un ultimo pensiero va agli insegnanti, che incontriamo in molti, in ogni Anno Scolastico, nel corso dei vari progetti del Settore Scuola e Formazione di Megachip in varie regioni Italiane. L’insegnante è il vero punto centrale di tutto il processo di apprendimento e di formazione: solo attraverso la valorizzazione e un vero sostegno non solo economico ma culturale e di aggiornamento dell’insegnante si potrà produrre un cambiamento radicale e culturale dentro la scuola italiana.
Non mi pare però che ne decreto Gelmini si parta da questi obiettivi.


*Responsabile Settore Scuola e Formazione
Segreteria Nazionale Megachip

Atene, migliaia ai funerali di Alexis Scontri davanti al cimitero - Repubblica.it

Istituto Italiano Tremonti - dal blog di Marco Cattaneo

Grecia, Francia, Italia la gioventù bruciata - Ilvo Diamanti


In Grecia è esplosa una rivolta giovanile. Partita da Atene, si è propagata in molti altri punti del paese. Da Salonicco a Patrasso, da Corfù a Creta. Ma la protesta ha scavalcato i confini, coinvolgendo, fra i bersagli, le ambasciate greche di alcune capitali europee. E' una vera mobilitazione, scandita da episodi violenti. E di scontri continui, con le forze dell'ordine. Molti di essi sono studenti. E infatti l'epicentro del terremoto sociale è diventato il Politecnico di Atene, insieme al quartiere di Exarchia (intellettuale e, insieme, alternativo). Luoghi mitici, perché proprio da lì, proprio dagli studenti partì la rivolta che, con un costo di vite altissimo, travolse il regime dei colonnelli, 35 anni fa.

D'altra parte, non è un "movimento studentesco". Perché agli studenti si sono uniti molti altri: lavoratori, precari, disoccupati. Comunque: giovani. Inoltre, a guidare le manifestazioni sono gruppi di sinistra radicale, affiancati da gruppi anarchici. Ma non ciò che sta avvenendo non può essere riassunto in un'azione della sinistra antagonista. Anche perché la sinistra antagonista non dispone di una base tanto ampia. La ribellione di massa che sta incendiando le città greche è un po' di tutto ciò. Mobilitazione studentesca universitaria (e non), antagonista, di sinistra, giovanile.

L'episodio scatenante è drammatico. La morte di un giovane 15enne, sabato scorso, ad Atene, nel quartiere di Exarchia, ucciso da un poliziotto, in seguito allo scontro fra un gruppo di studenti e una pattuglia della polizia. Di fronte a quel che è avvenuto e che sta avvenendo, però, l'episodio, per quanto sanguinoso e violento, appare quasi epifenomenico. Un incidente occasionale. La miccia che provoca un'esplosione a catena. Ed è facile, anche se discutibile, per questo, accostarlo ad altre rivolte che hanno investito le metropoli europee negli ultimi anni.

Per prima, l'esplosione di rabbia che ha sconvolto le banlieue francesi - parigine, anzitutto - nell'autunno del 2006. Anche in quel caso il motivo scatenante è lo stesso: l'uccisione di un ragazzo in una colluttazione con la polizia. Da cui la spirale di violenza che ha travolto, per settimane, le periferie di Parigi, per propagarsi presto ad altre metropoli francesi. La stessa dinamica si ripropone un anno fa, a Villiers-le-Bel, nella banlieue Nord di Parigi. Stessa meccanica: la morte di due ragazzi in moto, investiti (in questo caso in modo del tutto accidentale) da un'auto della polizia. Cui segue una vampata di violenze che degenerano subito. In modo drammatico, visto che in pochi giorni si contano oltre cento feriti, perlopiù tra forze dell'ordine. Certo: si tratta di eventi assolutamente diversi, per contesto urbano e sociale. In Grecia: studenti che si mobilitano in centro storico, con obiettivi apertamente politici. I palazzi del governo e del potere, la maggioranza di destra. In Francia: francesi di seconda generazione; giovani socialmente periferici che abitano le periferie più povere e inospitali. I bersagli: i simboli della cittadinanza negata. Auto, centri sociali, biblioteche. In entrambi i contesti, però, si tratta di "giovani". E la violenza investe alcuni "oggetti" specifici. Oltre alle auto: negozi e hotel di lusso. Simboli di un sistema che si regge e si rappresenta attraverso i consumi. In entrambi i casi, ancora, lo scontro avviene direttamente con le forze dell'ordine e con la polizia, in modo aperto. Non solo è solo la polizia a opporsi alle azioni giovanili. Sono gli stessi giovani a cercare lo scontro con la polizia.

La rivolta di Atene, per alcuni versi, richiama, inoltre, le mobilitazioni che attraversano l'Italia da alcune settimane. Le differenze, in questo caso, sono però ancor più evidenti. Perché in Italia la protesta giovanile non nasce da un episodio violento e non ha assunto toni violenti (se non in alcuni casi molto specifici). Perché ha fini e bersagli squisitamente politici. I provvedimenti del governo in materia di scuola e università. Tuttavia, fra le mobilitazioni vi sono i punti di contatto altrettanto palesi. In Italia come in Grecia i protagonisti sono gli studenti, i teatri le università. In Grecia come in Italia la popolazione studentesca era da tempo in ebollizione, per gli stessi motivi. L'opposizione aperta contro la riduzione delle risorse e degli investimenti sulla scuola - e in particolar modo sull'organizzazione della ricerca e dell'università - pubblica.

Se colleghiamo questi tratti, tanto diversi in apparenza, si delinea un profilo comune e largamente noto. Perché le rivolte investono i giovani, sia gli studenti che i marginali, delle classi agiate e dei gruppi esclusi. I bersagli sono, in ogni caso, le istituzioni di governo, il sistema educativo e le forze dell'ordine, il sistema politico e in particolar modo i partiti e gli uomini di governo. Il denominatore comune di queste esplosioni sociali sono i giovani, occultati e vigilati da una società vecchia e in declino, da un sistema politico im-previdente, inefficiente e spesso corrotto. Schiacciati in un presente senza futuro. Cui sono sottratti i diritti di cittadinanza. Costretti a una flessibilità senza obiettivi. Il che significa: precarietà.

La violenza, in questo caso, diventa un modo di dichiarare e gridare la propria esistenza. Loro, invisibili. Inutile ignorarli, fare come se non ci fossero. Ci sono. Studenti, precari, di buona famiglia oppure marginali e immigrati, politicizzati o apertamente impolitici e antipolitici. Esistono. E se si finge di non vedere si accendono, bruciano. Fuochi nella notte che incendiano le città.