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giovedì 4 dicembre 2008

L'UNIVERSITA' HA I SUOI MITI. DA SFATARE

Articolo di Alfonso Fuggetta, Lavoce.info

Quando si parla di riforma dell'università emergono continuamente affermazioni presentate come verità scontate e che invece alla prova dei fatti non lo sono. Per esempio, non è vero che solo in Italia i professori ordinari sono più dei ricercatori. Anche altrove la carriera è tutta interna a una singola sede e la selezione del personale docente si basa sulla cooptazione. La vera differenza è che nel sistema italiano la facoltà che recluta docenti poco qualificati non viene punita in alcun modo. Sarebbe più utile eliminare del tutto i concorsi e dare piena autonomia agli atenei.

Nel dibattito sulla riforma dell'università riemergono continuamente una serie di affermazioni che vengono presentate come verità scontate e che invece alla prova dei fatti non lo sono.

LA PIRAMIDE ROVESCIATA

Una delle critiche principali indirizzate all'università italiana è che molto spesso assomiglia a una piramide rovesciata, con troppi professori ordinari, un numero minore di professori associati e ancor meno di ricercatori. Si continua a ripetere che negli altri paesi vi è una piramide vera, e non rovesciata come in Italia. Non è vero. O non lo è per tanti atenei che vengono spesso additati come esempi ai quali ispirarsi. Vediamo tre casi molto significativi:

a) Mit:

Professors (ordinari): 635
Associate professors (associati): 207
Assistant professors (ricercatori): 166

b) Stanford:

Professors: 816
Associate Professors: 217 
Assistant Professors: 262

c) Eth Zurigo:

Full Professors: 278
Associate Professors: 31
Assistant Professors: 50

Per completezza, va ricordato che in tutte queste realtà vi è un alto numero di posizioni a contratto: lecturer, esercitatori, tutor, post-doc, research position, peraltro presenti anche nei nostri atenei e spesso criticate perchéposizioni "precarie". In ogni caso, la struttura della faculty è sempre tendenzialmente caratterizzata da un alto numero di professori ordinari e un numero molto minore di associati e ricercatori. Il vero punto chiave è quindi l'alto numero di posizioni precarie in ingresso alla cosiddetta "tenure track", cioè la progressione di carriera da ricercatore a professore ordinario.
Come si entra in questa tenure track? E qui veniamo al secondo mito.

LE PROMOZIONI INTERNE

In Italia si continua a criticare il fatto che la progressione di carriera dei ricercatori e degli associati è per promozione interna. Spesso si dice che questo rende le università chiuse e favorisce il baronato e pratiche poco trasparenti o illegali.
In realtà, se si guarda come funziona la "
tenure track" nel mondo anglosassone, e in particolare in tutte le università americane, ci si accorge che le cose sono molto più simili di quanto si possa immaginare.
Un assistant professor, l'equivalente del ricercatore, viene normalmente assunto con un contratto non di ruolo, non ha cioè la "tenure". Se la sua carriera procede proficuamente, viene promosso dopo un certo numero di anni ad associate professor, ancora senza "tenure". Ogni dipartimento di una università americana ha un proprio tenure committee che stabilisce quando dare a un candidato la "tenure", ovvero il passaggio in ruolo. Da quel momento, il professore ha una serie di tutele simili ai nostri docenti di ruolo. Normalmente, nella stessa università il professore riceve anche la promozione a full professor, a professore ordinario. Ovviamente, se una persona non è giudicata adeguata, non procede nella progressione di carriera e viene invitata, nei fatti, a cambiare università o lavoro.
Quali sono quindi le 
differenze rispetto alla situazione italiana? Non è la mancanza di promozioni interne, ma sono ben altre. La prima differenza è che una università anglosassone normalmente non assume come assistant professor (ricercatore) un proprio laureato o dottorato. All'ingresso del percorso di tenure, quindi, c'è unaapertura totale e radicale verso il mondo esterno. Ma una volta che un candidato è entrato nella tenure track, può tranquillamente procedere nei diversi gradi presso la stessa università.
La seconda differenza è che il ruolo arriva solo dopo molto tempo e normalmente al livello di associate professor. La terza è che per tutte le persone senza tenure sono previsti anche 
percorsi di uscita dall'università. Questi meccanismi garantiscono il grande dinamismo delle università statunitensi.

LA COOPTAZIONE

Il terzo mito: secondo molti critici del sistema universitario italiano, negli altri paesi ci sono meccanismi di selezione del personale docente che non si basano sulla cooptazione, come invece accade in Italia. In realtà, tutti i sistemi di reclutamento a livello internazionale sono incentrati sulla cooptazione, indipendentemente dal meccanismo di selezione prescelto. La vera differenza è che nel sistema italiano l'università che recluta docenti poco qualificati non viene in alcun modo punita. Al contrario, l'ateneo che tenta di competere e di assumere personale di qualità viene penalizzato dalla mancanza di competizione nell'accesso alle risorse e dall'anacronistica presenza del valore legale del titolo di studio.
Per questi motivi, sarebbe molto più utile eliminare del tutto i concorsi, dare piena autonomia agli atenei e mettere in campo rigorosi sistemi di valutazione e assegnazione delle risorse.
Per riformare realmente il sistema universitario italiano è necessario comprenderne correttamente le dinamiche, studiare le best practice internazionali e identificare con chiarezza la causa profonda delle disfunzioni che affliggono i nostri atenei. Se non si procede in questo modo, si rischia di somministrare al malato o un placebo o una medicina inefficace.

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