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giovedì 18 dicembre 2008

I passi indietro della riforma Gelmini - Tito Boeri - Repubblica, 18 dicembre 2008

Articolo di Tito Boeri, Repubblica 18 dicembre 2008

Un passo indietro e due avanti. Al contrario di Lenin, il Ministro Gelmini nelle ultime due settimane ha preso atto dei limiti delle riforme imposte dall' alto, quelle che servono unicamente a fare cassa negli scenari della Ragioneria Generale dello Stato. Ha così modificato le sue proposte di riforma offrendo maggiori possibilità di scelta alle famiglie e superando la logica dei tagli indifferenziati. Ernesto Galli Della Loggia ritiene che sia stato un passo indietro perché, a suo giudizio, le "riforme facoltative" sono delle non-riforme. Ma le riforme che garantiscono una certa libertà di scelta sono le uniche riforme possibili in una società sempre più eterogenea come la nostra. Le regole rigide imposte dall' alto servono solo a dare fiato ai difensori dello status quo e a creare delle eccezioni. Ed è meglio avere regole flessibili applicate a tutti che regole rigide violate dai più. Non è tuttavia facile ottenere comportamenti virtuosi - quelli che ci fanno risparmiare risorse migliorando la qualità dei servizi offerti ai cittadini - nell' ambito di regole flessibili. Per farlo è necessario allineare gli incentivi di chi decide a livello decentrato (famiglie, dirigenti scolastici e organi di autogoverno dell' università) a quelli della maggioranza dei cittadini, senza imporli dall' altro. Maristella Gelmini ha solo mosso due primi significativi passi in questa direzione. Vediamo quali sono stati e quali altri passi sono necessari nelle prossime settimane per non tornare indietro. Il primo passo in avanti riguarda la "riforma della riforma" del primo ciclo (materne, elementari e medie inferiori). Permettendo alle famiglie di scegliere tra 24 ore (con maestro unico), 27 ore oppure 40 ore (il tempo pieno con due maestri), il Ministro ha finalmente voluto tenere conto del fatto che la domanda di istruzione è sempre più differenziata in Italia. Il massiccio flusso di immigrati ha reso meno omogenee le classi. I bambini con disabilità, una volta lasciati a casa, adesso vanno - giustamente - a scuola. La maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro nei centri urbani soprattutto al Nord ha fatto fiorire il tempo pieno, riducendo il coinvolgimento delle famiglie nel processo di apprendimento degli studenti. Imporre a tutti orari ridotti e maestro unico avrebbe creato disagi alle famiglie e frustrato l' operato degli stessi insegnanti. La libertà di scelta ora concessa non impedirà di conseguire risparmi, ma solo a condizione di definire bilanci per scuola e provincia. Così si potrà permettere ai singoli dirigenti scolastici e ai comuni che riducono i costi nella formazione delle classi e nell' accorpamento degli istituti di utilizzare parte di questi risparmi per interventi sull' edilizia scolastica e per potenziare il materiale didattico. Oggi le amministrazioni decentrate non hanno alcun incentivo a risparmiare perché non sono soldi loro. Nei prossimi 5 anni andrà in pensione un quinto dei docenti: questo ricambio naturale può essere utilizzato per ottenere riduzioni di costi del personale e miglioramenti nella qualità dell' istruzione. Per questo gli incentivi a risparmiare vanno introdotti subito. Non c' è tempo da perdere. 
Il secondo passo in avanti riguarda l' università. L' ultima versione del decreto Gelmini e le linee guida sull' università appena pubblicate dal Ministero hanno abbandonato la logica dei tagli uniformi. Prevedono ora che fino a un terzo dei fondi del finanziamento ordinario dell' università vengano assegnati sulla base "della qualità dell' offerta formativa, dei risultati dei processi formativi e della qualità della ricerca scientifica". È un principio giusto perché impegna le diverse sedi a utilizzare l' autonomia che già oggi viene loro concessa per migliorare l' offerta formativa e la ricerca. Se applicato fino in fondo, questo principio può rivoluzionare l' università italiana. Come documentato su www. lavoce. info, oggi il 40 per cento dei docenti ordinari di economia in Italia non ha più di due pubblicazioni con almeno due citazioni su Google Scholar, una banca dati che comprende anche molte riviste non di lingua inglese, working papers e atti di convegni. Secondo Maria Cristina Marcuzzo e Giulia Zacchia (Rivista Italiana degli Economisti, agosto 2007) il 35 per cento dei ricercatori non ha alcuna pubblicazione su Econlit, una banca dati dedicata alla ricerca economica. Entro il 31 marzo il Ministro dovrà varare i decreti attuativi stabilendo come misurerà la ricerca degli atenei e come ripartirà questa quota crescente di finanziamenti alle università. È opportuno che i criteri di valutazione e gli specifici indicatori siano definiti a livello internazionale, quindi non siano manipolabili da chi deve poi essere valutato. Ovviamente oggi chi difende lo status quo nell' università si oppone a qualsiasi criterio di valutazione definito a priori, sostenendo, come in una popolare canzone degli anni ' 60 che "nessuno li può giudicare". È anche fondamentale che il premio agli atenei che svolgono ricerca non sia marginale, ad esempio che solo gli atenei che superano una certa soglia accedano a questa quota dei finanziamenti. Il Ministro ha dato in questi mesi ripetute prove di coraggio, anche se spesso per cause sbagliate. Ha oggi l' opportunità di dare un contributo importante alla riforma dell' università italiana. Se vuole dare un primo importante segnale di discontinuità rispetto ai suoi predecessori, quelli che hanno tutti gioiosamente concorso ad affossare l' università italiana, proceda subito ad aggiornare l' unica seria valutazione della qualità della ricerca accademica svolta sin qui in Italia (si veda www. civr. it). Tornerà utile nel distribuire i fondi per la ricerca.

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